La Montagna

La Tremezzina non è solo lago. Per secoli la storia lariana dimostra come la montagna fosse un’importante e fondamentale risorsa economica e di sussistenza. Negli ultimi cinquant’anni le cose sono piuttosto cambiate: le trasformazioni economiche e sociali del secondo Novecento sono responsabili della fortissima riduzione delle produzioni di montagna, molti gli alpeggi sono oggi abbandonati e numerose, di conseguenza, le attività di montagna quasi estinte. Ad esempio molto caratteristica nel passato la transumanza “nautica” del bestiame: talvolta, gli allevatori ottenevano in concessione un pascolo sulle montagne della sponda opposta, donde la necessità di imbarcare il bestiame su una di quelle barche da diporto che nei tempi andati si prestavano ai più vari servizi. Noto è il caso dei Cadenazzi di Portezza che fino agli anni Novanta a primavera inoltrata noleggiavano una gondola – la Giulia dei Barindelli di Bellagio, per la precisione, ora “pensionata” al Museo della Barca lariana di Pianello – per attraversare il lago da Lenno a Nesso, da dove sarebbero poi saliti all’alpeggio del Colmenacco. Inoltre, nel territorio c’è ancora chi ricorda come qualche vacca venisse mandata a svernare sull’isola Comacina, convincendo le bestie a varcare a nuoto lo stretto canale che a Ospedaletto la separa dalla costa. 

In ogni cambiamento, tuttavia, c’è il seme di nuove opportunità e anche in questo caso, dopo anni di difficile assestamento, per le attività di alpeggio ci sono nuove prospettive: il maggiore interesse per le produzioni tipiche, la sempre più diffusa passione per l’escursionismo, le azioni di manutenzione del territorio montano, dai sentieri ai torrenti, che possono costituire una determinante integrazione economica del reddito agricolo. Custodi di una tradizione remota, gli alpeggi sono visti oggi come centri multifunzionali: – dall’agricoltura al turismo, dall’educazione alla gestione ambientale, – nei quali i giovani sempre più spesso vedono un futuro professionale. 

Fortunatamente in Tremezzina ci sono ancora (pochi) allevatori e contadini che vivono seguendo lo scorrere di una vita di un tempo, tenendo vive le tradizioni  e formando i giovani, speranza del futuro per questo settore.

Giuseppe Bordoli racconta la sua esperienza in montagna e quella della sua famiglia

Lino detto Il Siss

Percorrendo la strada provinciale che da Ospedaletto sale verso Ossuccio, capita spesso di incontrare Ugo Lino Ramponi,  “Il Lino”, o meglio Il Siss, come lui ama essere chiamato perchè era il soprannome del padre. E’ l’ultimo contadino ormai rimasto ad Ossuccio, che porta avanti l’amore per la natura e per gli animali che gli è stata tramandata fin da piccolo dai genitori i quali, dalla primavera all’autunno vivevano sui monti del paese dove portavano le loro mucche che pascolavano liberamente, nutrendosi di quell’erba fresca e profumata che conferiva al loro latte sapore e profumo di genuinità.

Lino ricorda che quando frequentava le elementari e i genitori erano in montagna, lui viveva con i nonni, ma il mercoledì sera, essendo vacanza il giovedi, lui saliva da solo a piedi in quota, “cunt i zuculit in man…a pee biut”, per stare con suo padre e sua madre e anche per dar loro una mano nella gestione del bestiame, nella raccolta del fieno e anche nella mungitura.

Le cascine comunali di Ossuccio che ha in gestione sono un pò come la sua seconda casa. E’ lì che trascorre gran parte della sua giornata occupandosi dei suoi animali: mucche, capre e galline. Ultimamente la sua giornata è scandita da ritmi regolari: alle 5 del mattino si sveglia e si reca alla stalla per la mungitura; poi dal pollaio libera le galline che, non si sa come, non si sa perché, attraversano la strada sulle strisce pedonali; dà il fieno alle mucche e, quando è il tempo del taglio, procede alla falciatura dei prati. Nel pomeriggio c’è un ritrovo amichevole con altri anziani del paese che si raccontano fatti quotidiani e di un tempo e poi, di nuovo, munge le sue mucche. Si dedica così alla lavorazione del latte: una parte viene trasformata in burro con l’aiuto dell’antica “penagia” a mano, un’altra viene utilizzata per la produzione di formaggini e di casol.

Lino è contento della sua vita semplice e genuina: quello che fa non è certo per guadagno ma per una passione che si porta dentro fin dall’infanzia, per l’amore della sua vita semplice, a contatto con la natura, per la genuinità dei prodotti.

Lino saluta tutti: i conoscenti, i passanti, gli stranieri, i turisti che passano dalle cascine…molto spesso anche i bambini dell’Istituto Comprensivo vanno a fargli visita, per ascoltare i suoi racconti e riscoprire antichi mestieri. Il suo linguaggio è colorato da espressione dialettali che ottimizzano la comunicazione.

Comunque anche lui , come tanti, si concede le vacanze: in primavera si reca con il suo bestiame nel suo residence di Gravona e lì con la sua moglie Pinuccia trascorre serenamente circa 6 mesi, lontano dalla bolgia che c’è a bordo lago.

Il giovane nipote Filippo, ragazzo di una ventina di anni, lo sta aiutando e probabilmente continuerà la tradizione e l’attività del nonno con gli animali.

Famiglia Ciapessoni

Originaria di Lenno, la famiglia Ciapessoni da oltre 44 anni gestisce l’Alpe di Lenno, un alpeggio di proprietà comunale situato a 1493 metri di quota lungo la cosiddetta Via Militare che da Pigra sale verso il Monte Galbiga e i gli altri monti di Tremezzo. A margine della strada un cartello recita “I formaggi della Giovanna” perché in effetti è la padrona di casa, una vigorosa settantenne, che si occupa della trasformazione del latte, aiutata dagli uomini di casa, marito e fratello che accudiscono capre e mucche. Il prodotto di punta è il formaggio Grasso d’Alpe, che richiede il latte intero di due mungiture, serale e mattutina.

Famiglia Zanotta

Davide Zanotta ancora oggi vive di montagna. Appartiene a una dinastia di allevatori tremezzini che gli ha trasmesso l’amore per la vita d’alpeggio. Il passaggio di testimone, però, ha saltato una generazione. Il padre di Davide, infatti, ha scelto di fare il falegname, così come Davide in avvio di carriera lavorativa, dedicandosi però all’allevamento nel tempo libero, salvo capire a un certo punto di dover tornare là dove il cuore lo spingeva. Un agricoltore di ritorno, dunque, come si suol definire quei giovani che sempre più spesso fanno una scelta alternativa di vita rurale. A un certo punto è entrata in scena Cristina, una compaesana con una carriera avviata come analista di laboratorio per una farmaceutica ticinese, convertita alla vita di campagna per amore, verrebbe da dire, da frontaliera privilegiata ad allevatrice alle prese con tutti gli incerti di questo mestiere. La coppia possiede una ventina di vacche brune e la loro giornata comincia all’alba, con il governo del bestiame e la prima mungitura di vacche e capre. Prosegue con la lavorazione del burro e del formaggio, che portano la lancetta dell’orologio verso mezzogiorno. Poi ci sono altre cento cose fino all’ultimo atto della giornata, la mungitura serale, suggello di una routine che si ripete tutti i santi giorni all’anno. Davide si accolla i lavori più pesanti. Cristina pensa tra l’altro al commercio, con la vendita diretta a Viano (lo spaccio di chiama “La casetta del contadino”) e al mercato coperto di Como, fiondandosi da una parte all’altra, traffico sulla Regina permettendo. Tant’è che i quattro mesi fissi in alpeggio, di solo parziale distacco dal consueto, sono vissute come una vacanza. «È il nostro paradiso!» Oltre al formaggio Davide e Cristina coltivano mirtilli a Rogaro e nel periodo di giugno e luglio li raccolgono per fare la vendita diretta o trasformarli in confetture.

Mucche al Monte Galbiga

Famiglia Melesi

I Melesi sono la storica famiglia che gestisce il rifugio Boffalora. Buffa l’ora (soffia l’aria) è il nome assolutamente azzeccato per questa località molto frequentata da turisti e tremezzini, ubicata nel punto di convergenza delle mulattiere che da Ossuccio e da Lenno risalgono i versanti della boscosa val Perlana, trovando poi prosecuzione nella strada che discende la val Ponna alla volta del Ceresio e della Svizzera.

A Boffalora si trova un insediamento pastorale di una ventina di cascine: tre ore per salire a piedi con il mulo carico di rifornimenti; un’ora per scendere e portare in paese burro, formaggio e ortaggi. 

La storia più recente di questo luogo ha inizio durante la Prima Guerra Mondiale con l’apertura della cosiddetta Strada Militare, che ha aperto a prime forme di turismo. Dapprima un semplice ristoro, ricavato in una cascina, poi nel 1933 un vero e proprio rifugio “con pensione e alloggio”, che il titolare, un certo Angelo Leoni, presentava apponendo questo timbro alle cartoline: «Rifugio Boffalora sopra Isola Comacina – Gran Turismo – Campo da sci- Cucina pronta a tutte le ore – Giuoco bocce – Ritrovo di caccia- Strada carrozzabile e automobilistica km 12 da San Fedele -Vista incantevole del lago di Como e della Valle d’Intelvi». 

E’ nel che 1952 subentra nella gestione la famiglia Melesi, tuttora rappresentata dai fratelli Claudio ed Enrico. Nel 1971, l’ampliamento che porta il rifugio alla sua attuale dimensione. Tra le attrazioni del luogo i formaggi d’alpe e la polenta uncia, tuttora immancabile specialità del rifugio.

Nella prima saletta, fuori dal tempo, rivestita di legno e tappezzata di foto ricordo, ad attirare lo sguardo sono certe piccole figure tracciate a china, affettuose caricature di una coppia di architetti del Ticino che un tempo frequentavano il rifugio, Tita Carloni e la moglie Luigia: il signor Mario Melesi, storico proprietario del rifugio colto mentre dispiega la cartella per la tombola serale; la signora Angela, trafelata per il troppo da fare; i due figli, Chicco in veste di cuoco tuttofare e Claudio alle prese con grandi sacchi; poi i montanari del posto, tra cui uno stralunato alpée che ha smarrito l’asino e una leggendaria pastora, la Teodolinda, con la zangola per preparare il burro. 

Personali testimonianze di uno scenario che negli ultimi decenni è certo cambiato, ma poi non così tanto. 

Crediti

La redazione dei testi qui riportati è stata curata dalla comunità di Tremezzina in collaborazione con la coop. soc. Liberi Sogni Onlus. Fotografie e documenti pubblicati in questa pagina sono stati raccolti, selezionati e donati a fine divulgativo e a titolo gratuito dalla comunità di riferimento, nell’ambito del percorso partecipato che ha portato alla realizzazione della mappa di comunità. 
Le interviste agli abitanti di Tremezzina sono state realizzate dalla coop. soc. Liberi Sogni Onlus.
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